Karin Proia de “Le tre rose di Eva”: Quando, a 18 anni, un agente mi disse che non avrei fatto strada

A: Cosa comporta essere una madre che lavora?

KARIN: Quando una donna diventa mamma è come se acquisisse dei superpoteri, quasi ogni madre riesce ad essere sempre molto bene organizzata. Nel mio lavoro, fino ad ora, è stato abbastanza facile. E’ un lavoro con caratteristiche e modalità inusuali, talvolta sono travolta dagli impegni, a periodi gli impegni sono saltuari, non c’é regolarità né troppo preavviso. Capita di dover partire da una settimana all’altra o di stare a casa per giorni o passare intere giornate sul set, ma grazie alla collaborazione di mio marito e delle persone care, non ho neanche mai avuto bisogno della babysitter. Anche se conosco babysitter fantastiche delle compagne e amiche di mia figlia e quindi saprei a chi rivolgermi qualora se ne presentasse l’effettiva necessità. C’è inoltre una fitta rete

di solidarietà tra le mamme, per cui quando capita che all’ultimo momento qualcuna non riesce ad andare a prendere la figlia a scuola, per un problema improvviso, le mamme delle compagne si offrono con slancio di occuparsene, naturalmente per la gioia delle figlie che riescono a condividere qualche ora di gioco fuori programma.

A: In Italia ci sono molte donne costrette a scegliere tra maternità e realizzazione professionale. Cosa manca, secondo te, affinché le donne abbiano pari opportunità? Che servizi andrebbero potenziati?

KARIN: Purtroppo viviamo ancora in un mondo maschilista. Le donne, è un fatto, sono assolutamente svantaggiate rispetto ai colleghi maschi. Ovviamente ci sono anche le eccezioni, ma troppo spesso, come sappiamo, quelle donne devono rinunciare alla vita privata. Per fortuna ci sono delle aperture, anche se più a parole che nei fatti, ma le pari opportunità devono partire innanzitutto dalla considerazione che si ha della donna. E probabilmente anche molte donne devono partire dalla considerazione che hanno di sé. Non bisogna mai piangersi addosso. Sono cresciuta in un piccolo borgo in provincia di Latina dove molto spesso i primi figli venivano concepiti entro i 20 anni

d’età. Diverse mie amiche e compagne di scuola sono diventate mamme a 16 anni ed era un affronto se una femmina non faceva i lavori di casa. Come vuoi che in quel contesto io potessi imparare a cucinare o a fare il bucato? Mai e poi mai. Il massimo per le ragazze era mirare al marito facoltoso. Io volevo diventare la moglie facoltosa di un marito giusto. A 18 anni me ne sono andata via di casa e sono andata a vivere con un mio ex fidanzato, scatenando l’ira di mio padre che era contrario alle convivenze e che non mi parlò per qualche anno. Il mio ex, da straordinario cuoco qual era e qual è, mi insegnò a cucinare, anche se non me lo ha mai permesso perché, in casa, i fornelli erano i suoi. Però ho sempre rimbiancato le pareti con entusiasmo, dicendo che la differenza tra me e un imbianchino è il diploma, ho preso quello all’istituto d’arte quindi il pennello lo so tenere molto bene. Aggiusto anche le finestre, elettrifico lampadari, ma non chiedetemi di lavare il pavimento, lo faccio solo in caso di necessità in cui non

esiste alcuna alternativa. Poi, solo per passione, ho imparato a cucinare. Mi do sicuramente da fare, ma in quello che dico io e quando lo voglio io. Di conseguenza non mi sogno nemmeno di pretendere che mio marito aggiusti lo scarico del bagno o che conosca il motore della macchina. Il trucco sta nel circondarsi di persone che la pensano esattamente come te.

Per quanto riguarda i servizi che andrebbero potenziati per dar sostegno alle madri

che lavorano, bisognerebbe ovviamente distinguere da settore a settore. Fare un sondaggio presso le varie categorie, chi meglio di loro sa dirti di cosa avrebbero bisogno? In generale penso ci sia bisogno dei nidi all’interno delle strutture dove le

mamme lavorano, per i primi anni del piccolo, dove si può anche allattare, per chi lo desideri. E poi delle convenzioni per l’assistenza casalinga ai bimbi in età scolare.

A: I dati sulla disoccupazione giovanile fanno riflettere. Numerosi giovani professionalmente competenti sono costretti ad andare all’estero o a mettere da parte i propri studi e sogni per fare altro. Che consigli ti senti di dare loro? Esiste la meritocrazia in Italia?

KARIN: La meritocrazia in Italia è pochissima, anche lì poi dipende dal settore. Ho sempre cercato di essere o diventare, se non indispensabile, almeno molto, molto utile. E alla fine è sempre andata bene. Se sei preparatissimo, meglio di altri, risolvi i problemi

meglio di altri, o ancor meglio degli altri non ne crei, magari una, due, tre volte ti passa davanti il raccomandato, ma prima o poi passi tu. Per questo bisogna FARE. Studiare, applicarsi, specializzarsi, cercare di essere migliore rispetto a chi ha degli aiuti dall’alto, e poi, se proprio non ci vogliono, andremo ad essere utili altrove, peggio per loro. Se non avessi trovato realizzazione qui non ci avrei pensato due volte a far i bagagli e partire. Le avventure mi piacciono. E Non mi è mai piaciuto riversare la colpa sugli altri, perché sì, gli altri avranno pure le colpe, ma siamo noi che non dobbiamo averne, quindi bisogna fare sempre quello che è il massimo delle nostre possibilità. Che poi si sa, il bello del viaggio è il viaggio stesso, mica la meta. Della meta ci si rischia di annoiare. Più il viaggio è tortuoso e più ,andando avanti, si godranno scorci suggestivi e più la soddisfazione di arrivare sarà grande. Poi aggiungo che sono certa che non si arrivi comunque mai da nessuna parte, chi si sente arrivato in realtà si è perduto.

A: Aumentano i femminicidi nel nostro Paese, un fenomeno preoccupante. Quale insegnamento trasmettere ai giovani uomini e come farlo anche

attraverso l’arte e lo spettacolo?

KARIN: Maschilismo anche lì, la donna vista come oggetto, come proprietà. Un concetto che un pochino affascina e molto spaventa, perché, estremizzato, porta a violenze e soprusi. L’unico modo di combatterlo è lasciare estinguere le persone con idee di prevaricazione sulle compagne. Le donne devono responsabilizzarsi e non credere che un cambiamento sia possibile. Non bisogna permettere ai “padroni” di disporre delle nostre vite … i “padroni” con buone intenzioni sono affettuosi fanno carezze, ti sfamano, non ti prendono a calci. L’arte e lo spettacolo sono preziosi veicoli di informazione che poi è quella che ti arriva quando sei predisposto all’ascolto. Preziosi per aprirsi alla coscienza e conoscenza di sé e degli altri, per raccontarti storie nelle quali puoi immedesimarti. E il percorso dell’immedesimazione è sempre il mezzo migliore

per avvicinarti all’altro, fartelo percepire come prossimo, vicino e uguale a te.

A: La vicenda di Giulio Regeni è lontana dal trovare una sua conclusione: ennesima tragedia nella quale è coinvolta un’intera famiglia che cerca la verità. Da madre, qual è la tua riflessione in merito?

Queste sono tragedie assolutamente più grandi di noi. Poco si può fare. Come madre mi preme tentare di far crescere la coscienza sociale in mia figlia. Dovrebbero farlo tutti, senza pensare che debbano per forza incominciare gli altri, perché si parte dal piccolo. Anche il bene può essere un’epidemia. Gesti gentili fatti l’uno con l’altro

possono espandersi a macchia d’olio. Oggi l’aggressività sembra vincere sulla solidarietà, sull’educazione e sull’intelligenza anche logica. Basta farsi un giro in macchina nel traffico di Roma, ad esempio, e vedrai gente che pretende di avere ragione sempre e solo lei. Chi suona perché deve passare a destra, chi suona perché deve passare a sinistra e tutto questo urlando improperi verso tutti gli altri che naturalmente non mancano di rispondere a tono. Nessuno nel traffico romano ha mai torto. Ecco, chi non ha mai torto dovrebbe seriamente interrogarsi. La tolleranza, il quieto vivere, la serenità inizia da lì. L’educazione è contagiosa, abusiamone.

Per quanto riguarda le cose più grandi di noi c’è da augurarsi solo che non accadano mai più.

A: Com’è cambiato l’approccio al mondo dello spettacolo dopo la nascita dei social e cosa ne pensi di chi diventa famoso tramite YouTube, Twitter e i blog?

KARIN: Ormai seguire un personaggio è molto più facile di una volta. Con i social si possono avere notizie aggiornate ancor prima che ne parlino i giornali o i telegiornali. Twitter, Instagram and company sono l’essenza di quello che sta succedendo “in questo momento” nel mondo, lontano o vicino da noi poco importa. Le notizie arrivano nello stesso tempo in cui sono lanciate. Questo è molto affascinante. Io frequento molto Twitter, ci gioco volentieri. Instagram ho cominciato ad usarlo da poco. Penso che chi riesce ad aver successo tramite blog o tramite YouTube abbia di base molta costanza. Bisogna esser tagliati per dedicare intere giornate a qualcosa di intangibile. Non conosco la materia in maniera approfondita, non conosco cioè i “famosi” in questione, ma a naso, direi che probabilmente anche sul web sarà un po’ come nella vita, chi il successo se lo merita tutto e chi invece se lo merita di meno.

A: Hai sempre voluto tenere un profilo basso e distante dal gossip e dalla facile

notorietà, credi che questo abbia ostacolato o rallentato il tuo percorso?

Rallentato, sicuramente. Avrei potuto avere una carriera molto più facile però anche molto meno divertente. La cosa che mi gratifica di più è la stima e il rispetto che i miei colleghi e gli addetti ai lavori nutrono nei miei confronti. Il rispetto è una delle monete migliori che si possano guadagnare nella vita. Non c’è cachet o notorietà che possa comprare questo.

A: C’è un’opportunità lavorativa che non hai colto e che rimpiangi?

KARIN: Ho detto molti no nella mia vita lavorativa e non. Anni fa rifiutai la co-conduzione di “Domenica In”, diverse serie tv famose, un film al cinema un po’ troppo spinto, 10 minuti al giorno da gestire come volevo all’interno di un programma di Paolo Limiti su Rai 2

ed altro. Ma il no peggiore che ho detto è stato ad un programma in prima serata di sabato sera del mitico Celentano. Rifiutai non per snobberia ma per timore. Se tornassi indietro quello di sicuro lo farei.

A: In futuro pensi che ti dedicherai interamente alla regia o la recitazione per te rimane la priorità?

KARIN: Per me la priorità è “dire delle cose”. Non riuscirò mai a star ferma, a non scrivere a non creare qualcosa. Che sia una foto, una musica, un disegno, un personaggio o tutto insieme con la regia. Le priorità variano a seconda del momento. Sono così: guardo una pigna e mi vengono in mente dei moduli per realizzare mattonelle ad

incastro per il pavimento (è una cosa che ho fatto realmente). Chi mi conosce sa che posso guardare, per ore, una scatola di spilli o un lampadario di cristallo che proietta sul soffitto luci colorate coi riflessi del sole misto alle ombre. Quando sono diventata mamma, tra una poppata e l’altra, dipingevo quadri tondi con soggetti con grandi occhi perché avevo scoperto che mia figlia, come succede ai neonati, si incantava guardando le forme tonde e sorrideva.

A: Qual è il collega che professionalmente ti ha insegnato di più?

KARIN: Tutti. Da quelli più bravi impari quello che devi fare. Da quelli non bravi impari quello che non devi fare.

A: C’è stato qualcuno che ha cercato di farti desistere, abbattere e cambiare strada? Come l’hai affrontato?

KARIN: Sì. Ma di fronte alle difficoltà mi abbatto completamente per le prime tre ore, poi nelle successive tre me ne faccio una ragione e reagisco a modo mio per tutta la vita futura. Diciamo che i pareri degli altri li prendo in considerazione tutti, ma in massa e poi faccio una media. Il primissimo agente che ho incontrato, ad esempio, aveva un’agenzia piccola che ora, tra l’altro, non esiste più. Chiesi un appuntamento e lui mi incontrò, diciottenne, e mi disse che non sarei andata assolutamente da nessuna parte. Non so nemmeno perché fu così cattivo nell’espormi in faccia il suo giudizio senza nemmeno un motivo, un po’ educazione o semplicemente carità cristiana. Sei mesi dopo vincevo un importante provino teatrale e partivo per una tournée come personaggio principale accanto a Michele Placido. Fu un grande successo di pubblico e di critica, replicato per 5 anni. Ma, ancora meglio, qualche anno dopo ho rincontrato quel signore sul set. Faceva la comparsa parlante in un episodio della serie per RAI

UNO dove ero protagonista. E’ stato bellissimo.

A: Pensando a tua figlia, cosa ti auguri per il suo futuro?

KARIN: Che sia felice e sana e fortunata, e che riesca sempre a gioire di quello che ha, fosse anche pochissimo o tantissimo (che, spesso, è ancora peggio).

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