Il clamoroso caso di Nicolò Filippucci ad “Amici” e la necessità di una nuova narrazione nella tv italiana

Nicolò Filippucci, talento cristallino dell’ultima edizione di “Amici” di soli 18 anni, è stato eliminato a un passo dalla finale. 

Al cospetto della giuria e della conduttrice, in un contesto surreale tanto da sembrare ai telespettatori uno scherzo, ha lasciato la scuola sull’auto dello sponsor senza poter neppure salutare il pubblico ed essere accolto da un meritato applauso. 

Emblematiche le sue parole, pronunciate a occhi lucidi, prima di andarsene: “Non sono stato bravo stasera. Non sono fierissimo di me per non essere arrivato in finale”. Dichiarazioni che stridono con la realtà, con i giudizi di esperti di canto, giornalisti, social. 

La decisione della produzione di promuovere una finale a cinque invece che a sei ha fatto molto discutere.  

Nicolò rappresenta una nuova mascolinità che ancora la televisione deve imparare a conoscere e valorizzare: è un ragazzo sensibile, educato, rispettoso dei compagni, delle donne, degli addetti ai lavori (dai coach alle signore che si occupano delle pulizie). 

Nella tv italiana, così improntata allo scontro, al conflitto e alle urla, appare come un pesce fuor d’acqua. 

Più volte Cristiano Malgioglio gli muove critiche che paiono onestamente campate in aria per non parlare delle provocazioni di Rudy Zerbi, testimoniate dal pubblico presente alle registrazioni e riportate da vari blog. Lui incassa, si dispiace, ma non replica. 

I pomeridiani si susseguono e Nicolò viene ripetutamente messo di fronte a video in cui i compagni lo piazzano all’ultimo posto e lo considerano l’ultima ruota del carro. Gli autori provano a chiedere qualcosa ma niente, Nicolò non ce la fa a creare conflitti per avere una clip in più. 

Lui annuisce e cerca di capire, di migliorarsi. Nicolò non crea dinamiche, non è abbastanza televisivo

 

Cosa significa essere televisivi al giorno d’oggi?

La tv italiana desidera a tutti i costi lo scontro, difficilmente prova a sperimentare qualcosa di diverso, a investire in giovani anche sconosciuti per creare nuovi format. La televisione italiana punta sull’usato sicuro, meglio se un reality, così almeno un concorrente che si strappi i capelli, perché sotto stress, si trova.

In ogni programma, in ogni canale, a qualche ora senti qualcuno che urla, si scontra, si insulta. Per quanto la sottoscritta sia una persona estremamente pacifica, non nego di avere provato una rabbia in alcuni casi…è come se questi contenuti mi smuovessero dentro delle energie negative, del nervosismo difficile da canalizzare e che non tutti sanno gestire. 

E, infatti, sui social si riversa l’odio che diventa come un fiume che straripa. Da dove arriva questo odio? Non è forse alimentato dagli stessi che chiedono poi al pubblico di moderare i toni?

Non assistiamo forse ogni giorno, nella tv italiana, a scene degradanti, umilianti per chi le vive e per chi le guarda?

Non esiste un linguaggio diverso dallo scontro da veicolare secondo editori, produttori di format, autori, conduttori?

Quanto pesa la responsabilità di fare una comunicazione nel rispetto della deontologia a fronte della necessità impellente di macinare ascolti?

Nella nostra società si investe ancora troppo poco sulla prevenzione e promozione del benessere spostando il focus sul disagio, cercando di mettere toppe a danni, ahimè, ormai già evidenti. 

È giunta l’ora di assumersi la responsabilità di veicolare, nei mass media, una nuova narrativa, un modo diverso di comunicare, perché lamentarsi dei casi di cronaca nera che riguardano i giovani ma non fare nulla continuando a promuovere una cultura della contrapposizione e del conflitto significa essere, in qualche modo, complici.

Mi sento di dire che quelli come Nicolò, in cui mi rivedo assolutamente, molte volte si trovano la porta in faccia a un passo dal traguardo nonostante siano persone educate, motivate, rispettose, studiose, preparate. La televisione, con le sue scelte, li fa sentire spesso sbagliati e fuori posto ma voglio dire a tutti voi, ragazzi sensibili, educati, sottovalutati, che vi meritate il vostro posto nel mondo e lo troverete!

Io sono con chi cade, con chi è vulnerabile, con chi riconosce i propri limiti e cerca di migliorarsi sempre.

Le persone che sanno apprezzare la vulnerabilità, che è parte dell’arte, riescono a valorizzare ciò che la tv generalista sembra ancora non cogliere: il bisogno di essere umani, per questo anche fragili, ma autentici. 

Non vogliamo la tv del dolore ma il racconto di ogni storia nella sua unicità.  È cosa assai diversa.

 

 

Per aspera ad astra Nicolò!

 

 

 

 

 

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